Siamo arrivati al Presbiterio

Limitandoci ad indicare in esso le due bellissime cantorie laterali, sulle quali sono installate le canne dell’organo (1963) e l’elegante ed austero coro in noce, del ‘700, che si estende lungo tutto il tamburo dell’abside.
Veniamo a parlare delle opere pittoriche e scultoree che lo ornano.

A sinistra si trova l’ “Adorazione dei Magi con S. Francesco e S. Alberto Vescovo”, mentre a destra è il “Cristo Crocifisso con i santi Francesco, Antonio da Padova ed i Martiri carmelitani Dionigi della Natività e Redento della Croce”. Si tratta di opere di Antonio Cimatori di Urbino, detto il “Visacci” (1560-1623), pittore marchigiano, allievo del Barocci, il cui lavoro appartiene al periodo della tarda maniera: fu estremamente attivo nella Rimini del XVII secolo, lavorando per diversi ordini monastici come gli Olivetani, gli Agostiniani, i Capuccini, i Francescani delle Grazie.

Marina Cellini, su questo autore riporta: “Fuori dalle mura di Urbino riesce a recuperare memorie e suggestioni del giovanile viaggio romano a contatto con gli ultimi bagliori della maniera” (M. Cellini, “L’arte: il Seicento”, da Storia illustrata di Rimini, vol. III, p. 229). A proposito della “Crocifissione” e della “Adorazione dei Magi” sempre la Cellini indica come “i lividi incarnati e l’ombreggiare fratto e intenso dei dipinti …” ricordino cadenze tipiche di alcuni pittori marchigiani di quel tempo.

Per quanto ci riguarda, possiamo semplicemente notare ancora analogie compositive tra l’Adorazione del Visacci in S. Giovanni e quella vasariana, famosissima, ancora presente nella ex abbazia di S. Maria di Scolca, nella quale tra l’altro aveva lavorato lo stesso Visacci.

Sia l’ “Adorazione” che la “Crocifissione” nel 1754 erano segnalate in una cappella della chiesa.

Al centro dell’abside è un’importante scultura lignea con il Cristo Crocifisso; si tratta di un’opera quattrocentesca, di una durezza ancora gotica, di una resa molto drammatica nella stilizzazione di alcune sue parti. Proviene anch’essa da una cappella del distrutto santuario di S. Gaudenzo, dove era molto venerata. E’ stata restaurata nel 1960 ad opera di Renato Paolucci. Questo crocifisso è inserito nella bella ancona in stucco con angeli, opera di Antonio Trentanove.

Passando dal presbiterio alla prima cappella che si incontra a sinistra (ultima a destra per chi proviene dall’entrata) si nota, nel fondo di detta cappella, una piccola nicchia coperta da un sipario sul quale sono rappresentati gli strumenti della Passione di Nostro Signore. Qui sono ancora conservati i “Dolenti”, parte di una composizione policroma in stucco, opera di Carlo Sarti. Il giudizio su di essi di P.G. Pasini è severo: “non è che un insieme di luoghi comuni di cui sarà bene incolpare la bottega piuttosto che l’artista oramai decisamente sopraffatto dalla stanchezza” (P.G. Pasini, Carlo Sarti, Statuario, 1970). Senza ovviamente entrare nel merito delle attribuzioni ma semplicemente come ipotesi, forse l’opinione sull’insieme scultoreo sarebbe stata meno dura considerando che probabilmente al centro dei “Dolenti” era una bella Croce settecentesca che ora si trova in un piccolo ambiente a destra del presbiterio (per chi proviene dall’entrata) che è un’originale svolgimento in chiave barocca del tema dell’Albero della Vita (la figura del Cristo Crocifisso è forse opera di Carlo Sarti). Segnaliamo anche in quest’ambiente la presenza di una bella statua lignea della Pietà, databile tra il 5-600, proveniente dall’Oratorio di S. Maria in Argumine, antica sede della Compagnia degli Ortolani.

La cappella che segue, quella centrale su questo lato, sempre a destra di chi entra, ospita il simulacro cinquecentesco della Vergine del Carmine; la statua appartiene alla seconda metà del XVI secolo e gode di grande venerazione sin dal 1573, anno in cui fu portata nella chiesa.

Notevole è l’impressione che desta in questa cappella la grande ancona che circonda la Vergine: si tratta di una composizione di Antonio Trentanove.

.Per quanto riguarda l’ancona della Madonna del Carmine: “gli stucchi del Trentanove, che ornano i coretti, l’ancona dell’altare maggiore e, con singolare ricchezza, quella della Vergine del Carmine, dovrebbero datare all’anno di conclusione dei lavori (1772); subito dopo, quindi, le opere di Lugo anch’esse eseguite per lo stesso Ordine religioso. Le due figure allegoriche (le due statue raffiguranti la Devozione e la Mansuetudine, ai lati dell’ancona, N.D.A.) tuttavia, mostrano un panneggio già più pieno e complesso, simile a quello delle opere più mature dell’artista. Di singolare effetto è il vivacissimo coronamento dell’altare di squisito gusto barocchetto; a proposito il Pasini nota che – l’opera dovette indubbiamente suscitare meraviglia e interesse nell’ambiente riminese, abituato alle figure e alle decorazioni di Carlo Sarti, grevi a provinciali rispetto a queste -” (E. Riccomini, Vaghezza e Furore, 1977).

Come già accennato, ai lati dell’ancona sono le raffigurazioni della Devozione, con le braccia incrociate sul petto, e della Mansuetudine, con una colomba in mano e, forse, in origine, un’altra nell’altra mano.

Tutta questa composizione ebbe alterazioni in tempi passati ed è stata ripristinata in anni recenti, ad opera di Giusto Montanari ed Ugo Ciavatti, valenti artigiani riminesi; una recentissimo, difficile lavoro di pulizia ha inoltre riconsegnato all’ancona la sua originaria raffinata armonia.

Per quanto riguarda Antonio Trentanove, indichiamo infine come a lui siano da attribuire anche gli stucchi dei capitelli della chiesa dai quali occhieggiano vivaci angioletti.

Nella cappella seguente, la prima a destra per chi entra, ed ultima nella nostra trattazione, si conserva una magnifica tela, opera di Padre Cosimo Piazza (1557-1621), trasportata in S. Giovanni Battista nel 1797 dai Padri Cappuccini per la cui chiesa, dedicata all’Immacolata Concezione, era stata in origine concepita.

La tela raffigura l’Immacolata concezione alla quale viene offerta la città di Rimini sostenuta come su un vassoio dai suoi santi Patroni, ovvero S. Gaudenzo, S. Giuliano, S: Antonio da Padova, S. Innocenza e S. Colomba; sono inoltre presenti S. Francesco d’Assisi e S. Girolamo, mentre nella parte alta è raffigurata la SS. Trinità.

Del suo autore il Lanzi scrive: “Paolo Piazza, da Castel-Franco che poi si rese Cappuccino, e si nominò Padre Cosimo, è qui riposto (…) tra gli scolari del Palma. Nondimeno ha con lui poca somiglianza, avendo formato un proprio stile, non vigoroso, ma aperto e dilettevole, con cui piacque a Paolo V, all’imperatore Ridolfo II, al doge Priuli, che si valsero della sua abilità. La capitale e lo stato ha non poche sue pitture a fresco …” (Lanzi, Storia Pittorica, 1831).

L’opera fu descritta dallo storico riminese Roberto Adimari (1616) al momento del suo arrivo in città: “una bellissima gran tavola venuta questo anno 1611 … dalla città di Parma, fatta con gratissima e spiritual inventione, e di molto artificio per mano di un reverendo Padre di quella religione nella quale si vede dipinto la Santissima Conceptione incoronata di dodici stelle…” (R. Adimari, Sito riminese I).

La tela è stata restaurata nel 1966 a cura della Soprintendenza alle Gallerie di Bologna e da quella data si trova nell’attuale collocazione. Anche in questo caso non rimane che consegnare il visitatore all’ammirazione che il dipinto di impostazione davvero spettacolare certamente suscita.

Per quanto riguarda gli affreschi della Chiesa, essi, come si è detto, sono tutti lavori di autori relativamente recenti.

Nella cappella della Vergine, la lunetta centrale riporta “il santo carmelitano Simone Stock che riceve lo scapolare dalla Vergine Maria”, mentre ai lati della stessa cappella sono: “S. Teresa d’Avila” sulla destra, ed “Eliseo che osserva Elia che ascende al cielo” sulla sinistra. Sono queste tutte opere di Francesco Brici, pittore riminese, che le eseguì nel secondo decennio di questo secolo (la figura di Elia è in realtà frutto di un restauro del dopoguerra).

Le volte della navata sono invece state affrescate dal 1962 al 1965 da Pasquale Arzuffi. I soggetti sono, a partire dall’entrata: Natività, Immacolata Concezione con S. Giovanni Battista ed angeli, Crocifissione. Nella cupola è l’incoronazione della Vergine Maria; Evangelisti con i loro simboli sono raffigurati nei pennacchi. Nella volta absidale è l’Assunzione della Vergine.

Sul lato sinistro della Chiesa, che tra l’altro ingloba, probabilmente in modo completo, una parete di un edificio ecclesiale più antico (come rivelato nei recenti restauri), oltre al campanile, dalle forme settecentesche, è ancora presente il vasto immobile dell’antico convento il cui sobrio portale principale si apre sulla strada. Per una piccola porta a sinistra della facciata della Chiesa si accede ad un corridoio che altro non è che un lato dell’antico chiostro le cui arcate sono state completamente tamponate. In realtà ci si augura che un opportuno restauro ridoni prima o poi dignità architettonica e nuova fruibilità a questo ambiente che è sostanzialmente ancora integro nella sua struttura, con gli archi che poggiano sulle eleganti colonnine tipiche del primo ‘600. I peducci delle volte, sotto un pesante strato d’intonaco, mostrano ancora fattezze di alcuni stemmi, forse carmelitani.

Nelle lunette delle volte, è inoltre attestata dai documenti la presenza di affreschi seicenteschi del Visacci, i cui resti pare furono intravisti anni fa.

Presbiterio

L’adorazione dei Magi al bambino Gesù – Visacci (Antonio Cimatori)

Crocefisso – Visacci (Antonio Cimatori)

Crocefisso ligneo XIII secolo

Cappella della Vergine del Carmine

Antica e prodigiosa immagine della B.V. DEL CARMINE – Le corone sono state benedette da sua Santià Paolo VI° nella Bbasilica Vaticana di S, Pietro

Cosimo Piazza – I Santi Patroni di Rimini

particolare

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